La conversione con L. 2021/71 del D.l. 2021/42, che ha rimodificato il D.l. 2014/91, convertito con L. 2014/116, già modificato dal D.l. 2020/76 e convertito con L. 2020/120, relativo alla diffida in materia alimentare, in pratica ha riportato questo istituto giuridico alla sua versione iniziale introdotta nel 2014. La diffida alimentare come alternativa, in alcuni casi, all’obbligo della sanzione per le violazioni in materia di alimenti e mangimi nasce nel 2014 e oggi è ritornata alle caratteristiche di quando fu creata. Di seguito riportiamo un breve esame dei punti essenziali della nuova norma.
Il vetero ordo prevede che la diffida debba essere utilizzata per fatti puniti con la sola sanzione amministrativa pecuniaria, “nel caso in cui accerti per la prima volta l’esistenza di violazioni sanabili”, impone l’eludibilità delle conseguenze dannose o pericolose dell’illecito, l’inapplicabilità dell’istituto nel caso in cui i prodotti non conformi siano già stati immessi, anche solo in parte, in commercio, con il solo allungamento del termine da 20 a 30 giorni per adempiere alla diffida dell’organo di contestazione all’operatore alimentare.
PROSPETTIVE DI INAPPLICABILITÀ PER MANIFESTA ILLOGICITÀ DELL’ISTITUTO GIURIDICO
In pratica, la nuova norma reintroduce nell’istituto giuridico elementi già criticati in passato e che l’hanno reso inapplicato dal 2014 fino alle modifiche introdotte nel 2020. Il limite della “prima volta” appare evidentemente discriminatorio: per una piccola attività la “prima volta” può essere anche coincidente con il primo controllo in 10 anni di attività, mentre per la grande azienda alimentare può coincidere con il primo verbale ricevuto, tra i molti, in una settimana.
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Avvocato esperto in diritto dell’alimentazione
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