Anche un settore resiliente e anticiclico come l’alimentare ha accusato i colpi inferti da un anno problematico come il 2020, e non poteva essere altrimenti, sconvolto dallo tsunami scatenato dalla pandemia. Ma partiamo dal “prima”, dalla fase pre-Covid, con l’aiuto dei dati di contabilità nazionale recentemente diffusi dall’Istat. Nel 2019 i consumi alimentari del Paese (ristorazione esclusa) hanno raggiunto la quota di 165,1 miliardi di euro, con un aumento sull’anno precedente del +1,2% in valori correnti e del +0,6% in valori costanti. I “servizi di ristorazione” hanno segnato, in parallelo, la cifra di 85,3 miliardi di euro, con rialzi sul 2018 pari al +2,0% in valuta corrente e al +0,6% in valuta costante. Va detto che la ristorazione, e più in generale il “fuori casa”, è stato il segmento leader nell’arco dell’ultimo decennio.
L’ORIGINE EXTRA-ECONOMICA DELLA CRISI FAVORISCE UN RIMBALZO PIÙ RAPIDO
In pratica, ha chiaramente dominato, per dinamica espansiva, fra tutte le voci alimentari censite dall’Istat sia in valuta corrente che costante: in sostanza, un vero e proprio galleggiante per tutta la filiera alimentare. Basti dire che dal 2007 (ultimo anno pre-crisi finanziaria Lehmann Brothers) al 2019, senza la ristorazione i consumi alimentari hanno perso in valuta costante 10,7 punti, mentre i servizi di ristorazione sono cresciuti, in parallelo, del +6,7% in valuta costante (quindi al netto da distorsioni inflazionistiche).
continua…
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