La tracciabilità è un elemento fonda mentale delle politiche di sicurezza alimentare dell’Unione europea che, ormai circa 20 anni fa, ha introdotto con il Regolamento (CE) n. 178/2002 un’attenta legislazione per garantire la salubrità del cibo. La tracciabilità si completa con la rintracciabilità che non è un sinonimo, quanto un processo complementare e speculare. Il primo, infatti, descrive il percorso che ogni componente di un alimento o di un mangime compie dal campo fino al suo consumo. Il secondo invece è la ricostruzione a ritroso di questo percorso, resa possibile dalle informazioni registrate dai vari operatori delle fasi di produzione, trasformazione, trasporto e distribuzione. L’elevato potenziale della tracciabilità, in termini di sicurezza e di qualità degli alimenti e di ottimizzazione dei processi aziendali e di valorizzazione delle produzioni, è confermato dalla maggiore attenzione rivolta dai ricercatori di diversi settori disciplinari a questo tema. In questo senso, è sufficiente guardare l’andamento crescente del volume di pubblicazioni scientifiche e studi dedicati alla tracciabilità alimentare (FIGURA 1). Nato come strumento di garanzia igienico-sanitaria e di riduzione del rischio, il concetto si è evoluto nel tempo, assumendo come accezione principale quella di trasparenza nei confronti dei consumatori. Questi, infatti, nei Paesi più sviluppati e in particolare in Italia, si mostrano sempre più attenti agli aspetti legati alla qualità e all’origine dei prodotti che acquistano. Da un lato, la tracciabilità rappresenta una sfida per il legislatore, che deve fornire strumenti normativi omogenei ed efficaci, e per le imprese, chiamate a realizzare e mantenere un sistema in grado di seguire il flusso dei materiali e delle relative informazioni all’interno dell’azienda, con collegamenti a monte e a valle della stessa. Dal lato opposto, la tracciabilità rappresenta anche un’opportunità perché permette di:
• ottimizzare la pianificazione delle produzioni, minimizzando gli sprechi e garantendo un uso ottimale delle materie prime (Moe, 1998; Wang & Li, 2006);
• incrementare la competitività aziendale e settoriale (Canavari et al., 2010);
• aumentare il coordinamento e l’integrazione tra gli attori della filiera (Banterle & Stranieri, 2008; Engelseth, 2009).
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