Cremona è una meravigliosa città della Lombardia, al centro di una delle aree agricole più importanti d’Italia, sin dall’epoca dei Romani. La cattedrale con la sua arcata rinascimentale, il battistero ad otto facciate, il campanile del Torrazzo, caratterizzato da un orologio astronomico, ne sono i simboli architettonici. Cremona è la capitale della musica e dell’arte dei liutai, i cui violini sono considerati i migliori nel mondo, ambiti dai più grandi musicisti, prestati solo in occasioni eccezionali ed eventi memorabili. E come per i violini di Amati, di Guarneri e di Stradivari, Cremona è la patria delle macine per il grano, sia quelle a cilindro che a pietra, perfette per rendere accessibili ed inalterati i nutrienti contenuti del chicco di grano. “La più preziosa pietra è la macina del grano; e se ella si potesse legare e portarla in anello, ogni altra pietra passerebbe di bontà…” Così Franco Sacchetti, poeta e scrittore del ‘300, nelle sue Trecento Novelle, racconta la macina a pietra, la macchina che, dai tempi che furono, trasforma magicamente il chicco di frumento in farina. L’uomo nella sua evoluzione fisica ed intellettiva perde la forza della mandibola a favore di quella delle meningi e comincia a frantumare il frumento con le pietre per renderlo meglio utilizzabile e digeribile. Le prime macine, nella preistoria, consistevano di un piatto di roccia, di grande resistenza, sul quale veniva sparsa una manciata per volta di frumento da frantumare, utilizzando altra pietra dura, di forma rotondeggiante o piatta. La presenza di solchi sulla superficie di contatto aumentava la produttività in termini quantitativi e qualitativi. La rudimentale macina prese maggior sembianze quando, con l’apertura al centro della mola danzante (quella superiore), fu resa possibile la alimentazione continua del frumento per il processo di macinazione, processo ottenuto ruotando manualmente la mola soprana (così come detta in Sicilia quella danzante). La tecnica primordiale di triturazione o schiacciamento piano piano si evolve in tecnica di macinazione e la forma nonché la dimensione delle macine e l’abburattamento ne divengono le basi del processo. L’apice della tecnica molitoria viene raggiunto verso il 1850 con il perfezionamento delle macine, ottimizzazione del materiale usato, rigatura, dimensione e velocità. Le macine dovevano corrispondere ai requisiti di durezza, porosità ed omogeneità di struttura. Il materiale usato è la puddinga (calcare, feldspato, quarzo, mica e silice) proveniente dalle cave di Montorfano (CO), Inverigo (CO), Gandosso (BG) o dalla Val Camonica (BS). Ambite le pietre della cava francese di La Ferté che in poco tempo diventano il riferimento principale.
LA PIÙ PREZIOSA PIETRA È LA MACINA DEL GRANO; E SE ELLA SI POTESSE LEGARE E PORTARLA IN ANELLO, OGNI ALTRA PIETRA PASSEREBBE DI BONTÀ… Franco Sacchetti
Originariamente le macine erano costruite in un solo pezzo, poi successivamente ne furono costruite aggregando conci di 200÷400 mm di diversa durezza: il centrale di pietra più tenera per la rottura grossolana dei semi, il periferico più duro e resistente per un maggior schiacciamento del prodotto da macinare. Convessa la macina superiore (quella rotante), concava la inferiore (la dormiente). Le solcature secondarie invece, quelle che non partono dal foro centrale della pietra, hanno la funzione di distribuire il prodotto da macinare, accentuare il mordente ed aiutare l’evacuazione del materiale. Sulle macine apposite scanalature facilitano la macinazione del prodotto; la forma, il numero delle scanalature e la velocità della pietra attiva (quella danzante) sono determinanti per la qualità della farina che si vuole ottenere. Le scanalature, elemento importante, presenti nelle macine a pietra, furono oggetto di studio e di continue evoluzioni, al fine di evitare processi che portassero schiacciamento del cereale (e non macinazione) nonché surriscaldamento e quindi conseguente danneggiamento delle farine. Affinché un palmento abbia una buona produzione e lavori senza riscaldarsi occorre che le macine siano fornite di solcature principali, che si diramino dal foro centrale della pietra e vadano fino al bordo esterno. Il profilo della scanalatura deve quindi variare partendo dal centro, per alta macinazione, bassa macinazione e rimacina. Diversi i tipi di scanalatura: la olandese, composta di 108 solchi circolari su macina dal diametro di 1.500 e 1.600 mm, la scanalatura di Evans, di Drancy ed altre ancora. Il profilo della superficie (concavo) ha la funzione di permettere al chicco una distribuzione, sulla mola, più regolare ed uniforme e garantire il percorso a spirale tra le macine, dal centro verso la periferia. La macina in rotazione grava con il suo peso sul prodotto da macinare e per questo si chiama danzante. Le superfici delle macine, sia quella rotante che quella sottostante fissa, la dormiente, sono porose; a questo viene ancora ad aggiungersi la rabbigliatura, le righe che nel movimento di rotazione vengono ad incrociarsi continuamente producendo così lo sfregamento atto a lavorare il chicco. Questo percorso di macinazione si può abbreviare o allungare per mezzo della sistemazione dei canali, o solchi di areazione e si può quindi aumentare o diminuire il tempo di macinazione per ottenere qualsiasi risultato desiderato. La velocità periferica aumenta in modo considerevole verso la sezione esterna della mola ed accelera il cereale macinato verso l’uscita. La macina girante compie all’incirca otto giri prima che il prodotto lavorato fuoriesca. La tecnica moderna prevede, per le mole, l’utilizzo di agglomerati minerali, compatibili con le norme alimentari, che garantiscono una lunghissima durata e la conseguente riduzione drastica degli intervalli di rabbagliatura: le superfici che macinano conservano immutate le loro rugosità, consistenza e compattezza, non rendendo necessario il minuzioso lavoro per mantenerle perfettamente livellate e piane. Le mole, naturali o di agglomerato, devono essere scrupolosamente certificate per uso alimentare. Le prime hanno una vita corta, mentre le seconde sono di più gran lunga durata. La superficie macinante (conseguente al diametro della mola) garantisce la capacità di macinazione anche alle basse velocità, per una lavorazione lenta e fredda. A fine del ‘500, grazie alla invenzione di Agostino Rampelli, inizia il nuovo processo di macinazione mediante il prototipo rudimentale del primo laminatoio con rulli in ferro. Non ha fortuna fino a metà dell’800 quando il processo a cilindri comincia il suo effettivo sviluppo con Friedrich Wegmann, evidenziando cadenza produttiva, limitati consumi delle macine e quindi ridotti costi manutentivi. Il laminatoio era in sintesi costituito di due rulli (prima di porcellana e poi quasi sempre di ghisa) a superfici lisce o rigate, che accostati e girando in senso contrario riducevano le granaglie nella granulazione richiesta, dopo che queste fossero giunte nell’interspazio voluto tra i due corpi rotanti. L’industria moderna macina il grano per mezzo di rulli che allargano lo strato periferico e la gemma del chicco, a cui fa seguito la setacciatura a mezzo di fibre di seta, con la conseguenza che solo le parti interne riescono a passare attraverso i minuscoli fori del tessuto. Diversi ingredienti, come per il violino… e tanti segreti.
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