New York (Davide Frisoni)
Mientras tanto, descubrieron treinta o cuarenta molinos a viento que hay en esa llanura, y cuando Don Quijote los vio, dijo a su escudero.– La suerte está guiando nuestros asuntos mejor de lo que podríamos desear; porque ahí ves, amigo Sancho Panza, donde puedes ver a treinta o unos cuantos gigantes enormes, con los que creo que estoy peleando para matarlos a todos. Con sus despojos comenzaremos a hacernos ricos, ya que esta es una buena guerra, y también es un gran servicio hecho a Dios para librar la faz de la tierra de tan mala semilla. – ¿Qué gigantes? Dijo Sancho Panza. – Aquellos, respondió el maestro que ves ahí, de brazos largos, que algunos suelen tener casi dos leguas. Mira, respondió Sancho, que los que ves allá abajo no son gigantes, sino molinos a viento, y lo que parecen brazos en ellos son las palas que, movidas por el viento, hacen girar la piedra de molino… Il sostantivo mulino, dal latino molinum, mola in pietra per macinare, si riferisce all’opificio (fabbricato e macchinari), dedicato alla trasformazione del cereale in farina.
LA BOCCA SENZA MASCELLARI È COME UN MULINO SENZA MACINA (…) Miguel de Cervantes
I primi esemplari di mulini in Persia, 3.000 anni prima di Cristo; già ai tempi, come ora del resto, grande l’attenzione ai consumi energetici ed alla logistica, entrambi determinanti per la buona conduzione e redditività della attività. La diffusione delle tecniche idrauliche o eoliche, per la movimentazione delle pesanti macine, inizialmente fu rallentata causa la grande disponibilità di energia muscolare, ottenuta con animali, ma, soprattutto, con schiavi, cittadini poveri o delinquenti condannati a questa pena. Il calo demografico e la diminuzione della schiavitù spinsero le popolazioni a riscoprire le fonti energetiche alternative, quali il vento ed i corsi d’acqua. L’introduzione di queste tecniche di sfruttamento idrico o eolico implicò la necessità di ubicare il mulino in aree aventi disponibilità di corsi di acqua oppure di venti, senza sottovalutare la facilità di accesso attraverso le strade. Il primo cenno ad un mulino mosso dall’acqua è databile attorno al primo secolo a.C. così come si legge nei versi del poeta greco Antipatro di Salonicco: “Smettete di macinare, o donne che lavorate al mulino; dormite sino a tardi, anche se il canto del gallo annuncia l’alba. Poiché Demetrio ha ordinato alle ninfe di eseguire il lavoro che facevate con le vostre mani, ed esse, saltando giù dalla sommità della ruota, fanno girare l’assale che, con le sue razze rotanti, fa girare le pesanti macine di Nisiria.” Lo storico greco Strabone riferisce del mulino ad acqua fatto costruire nel 65 a.C., epoca a cui risale la prima chiara descrizione di un mulino con ruota verticale. È l’architetto romano Vitruvio che racconta la tecnica del molino mosso dall’acqua con un sistema di trasmissione ad ingranaggi, sistema rimasto invariato fino ai giorni nostri. Nel ventre del mulino dalle 20 alle 30 ruote si addentano grazie alla forza dell’acqua che, convogliata con una condotta inclinata, colpisce tangenzialmente le pale della ruota che trasmette la rotazione. La velocità dell’acqua si sincronizza con la velocità delle macine, quasi come fossero i rotismi di un orologio. I dislivelli e la portata dell’acqua determinano il tipo di ruota da utilizzare. È la orizzontale, chiamata greco o nobile, quella a palette o semicucchiaie; è semplice e prevede la trasmissione del moto diretto dalla ruota alla macina. La ruota verticale, invece, in cui gli ingranaggi trasferiscono il moto convertendolo da orizzontale a verticale, prende il nome dall’ingegnere romano Vitruvio, inventore del meccanismo, e quindi ruota Vitruviana. L’immaginario collettivo associa spesso la ruota verticale al molino, rendendola icastica, anche se il tipo più semplice e comune è quella orizzontale. Mentre il sistema a ruota orizzontale comporta piccole macine e necessita di piccoli volumi d’acqua a corrente rapida, il mulino a ruota verticale richiede fiumi con portata importante ed una meccanica più complicata, necessaria per convertire il moto rotatorio della ruota (orizzontale) in moto rotatorio verticale (macina), grazie a due ingranaggi, costruiti essenzialmente con elementi lignei, chiamati lubecchio e lanterna. La ruota Vitruviana poteva essere costruita in 2 versioni, in base alla posizione dalla quale veniva colpita dall’acqua: dal basso e quindi immersa nelle acque fluviali, chiamata orbitrium, oppure, dall’alto (a caduta/impatto) chiamata franceschum. Nel primo caso la ruota è immersa parzialmente nelle acque fluviali: è l’acqua che colpisce la ruota nella parte inferiore facendola girare in direzione opposta a quella della corrente; non è importante la portata dell’acqua del fiume bensì la sua velocità. Il dislivello necessario è minimo e questo tipo di mulino poteva essere realizzato ovunque vi fosse acqua corrente disponibile. La ruota colpita dall’alto (o ad impatto o franceschum) è adatta ad un mulino di montagna, perché sfrutta la velocità d’impatto dell’acqua. La ruota è relativamente piccola, con cassette che si riempiono di acqua e che, nella fase discendente, sbilanciano la ruota aumentando la spinta di rotazione; minore è la portata dell’acqua del fiume maggiore deve essere il diametro della ruota, per contenere più cassette. Parallelamente ai molini ad acqua si diffondono le ruote che utilizzano l’energia eolica, penalizzate non solo dalla necessità di disporre di zone adeguatamente battute dal vento, ma anche da una tecnologia costruttiva più complessa. Negli anni a seguire lo sviluppo delle tecnologie di idraulica e meccanica porta all’aumento dell’efficienza dei mulini, adottando ingranaggi più complessi con riduzione degli attriti. Anche le opere idrauliche connesse al mulino vengono migliorate. Poi l’utilizzo del vapore, come forza motrice, rende possibile installare il mulino nei centri abitativi, indipendentemente dalla disponibilità di flussi idrici o eolici. Iniziano così i primi approcci con la nuova tecnica di macinazione a cilindri, che continua man mano ad affinarsi fino a quando, a fine del XIX secolo, si perfeziona: i chicchi vengono svestiti uno ad uno, separando le crusche, il germe e l’endosperma, per poi essere macinati separatamente e soddisfare la crescente industria alimentare, lasciando spazio alla tradizionale macina a palmenti per far fronte alla domanda dei contadini di macinare piccole quantità di cereale. Oggi la fonte utilizzata è l’energia elettrica, soppiantando definitivamente le precedenti. Grazie ai maggiori rendimenti e alla facilità di trasporto di questa forma di energia, l’abbandono graduale del molino a pietra a favore di quello a cilindri, avviene agli inizi del Novecento e per tutto il XX secolo, per poi attualmente risalire a soddisfare la tecnica applicata ad un mercato di nicchia di grande valore, dedicato alle farine dimenticate.
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