Gli albori del biologico risalgono almeno a 100 anni fa, quando alcuni “pionieri” compresero e cominciarono a studiare le connessioni tra il nostro stile di vita, il cibo che mangiamo, il modo in cui lo produciamo, la nostra salute e quella del pianeta. Metodi di produzione attenti alla conservazione ambientale sono così riusciti a diffondersi, dapprima conquistando mercati di nicchia, poi sempre più ampi, fino all’attuale successo del biologico che, nella sua complessità produttiva, ha reso indispensabile una disciplina su scala europea e il varo del Reg. (Ce) n. 2092/91.
FIDELIZZARE I CLIENTI E VALORIZZARE I RAPPORTI DI FILIERA PER AMPLIARE LA PLATEA DEI CONSUMATORI BIO
Il quadro normativo sviluppato dalla Comunità europea per la produzione biologica vegetale e animale si inserisce nel contesto più generale della politica di qualità dei prodotti agricoli, nata all’inizio degli anni Novanta. Dal 1991, infatti, le disposizioni europee riconoscono il biologico quale metodo produttivo applicato all’agroalimentare, in grado di sviluppare azioni sostenibili nel rispetto dell’ambiente e delle comunità rurali in cui viene applicato.
Principi fondamentali della produzione biologica, ben delineati nel regolamento, sono: abbandono di tutti i mezzi tecnici dell’agricoltura moderna, no all’utilizzo dei prodotti diserbanti, no all’utilizzo di sostanze e prodotti chimici. Lo scopo principale della salvaguardia ambientale è perseguito innanzitutto attraverso la pratica delle rotazioni colturali naturali, per restituire valore alla ciclicità delle colture nel rispetto delle proprietà e delle potenzialità dei terreni. Condizione indispensabile per assicurare l’autenticità del biologico è che l’intero sistema di produzione sia sottoposto all’attenta sorveglianza degli Organismi di controllo (Odc).
L’incremento del consumo di prodotti biologici è considerato un passaggio rilevante nell’ambito dello sviluppo sostenibile e, negli ultimi anni, è diventato obiettivo prioritario nelle politiche degli Stati come nei piani delle istituzioni sovranazionali. Da ultimo, il Next Generation Eu lo ha posto come uno dei criteri fondamentali per la valutazione dei piani nazionali presentati a Bruxelles. Già nel 2007, il Regolamento 834/2007/Ce, in vigore dal 1° gennaio 2009, era intervenuto con un richiamo esplicito ai principi e ai valori del biologico, con l’intenzione di definire una base comune per la regolamentazione del metodo biologico e dei mercati del comparto in Europa.
Nel 2018, poi, l’Unione europea ha approvato un nuovo regolamento, il Reg. (Ue) n. 2018/848, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2022 e i cui effetti dovranno essere verificati. Numerose le modifiche apportate nel quadro della legislazione in materia, tra cui il rafforzamento del sistema di controllo e nuove regole sui prodotti biologici importati per garantire che tutti i prodotti biologici venduti nell’Unione europea rispettino gli stessi standard. Il nuovo regolamento non prevede però i Programmi annuali di produzione (Pap), prospettiva questa che riteniamo non positiva, in quanto si tratta di strumenti di controllo a disposizione degli Odc.
Uno dei pilastri del Green Deal, il piano europeo che punta alla neutralità climatica entro il 2050, prevede il raggiungimento del 25% di superficie investita a coltivazioni biologiche entro il 2030. Un target che pone diverse criticità: a un tale incremento di superficie dovrebbe infatti corrispondere un’equivalente percentuale di aumento di consumo dei prodotti biologici e una conseguente garanzia di adeguato reddito per gli agricoltori. In caso contrario, sarebbe difficile evitare che alcune aziende escano dal sistema del bio. In quest’ottica, riteniamo che le eventuali perdite di reddito potrebbero essere compensate con l’erogazione di aiuti all’ettaro. In sostanza, dunque, solo un equilibrio tra la produzione e il consumo di prodotti biologici potrà garantire il successo del “Farm to Fork”.
L’Italia è all’avanguardia nel settore bio. Infatti, rientra tra i primi dieci Paesi produttori di cibo biologico a livello mondiale. In Europa, con i suoi 79 mila operatori, si colloca al primo posto per numero di occupati nel settore e con gli attuali 2 milioni di ettari, che rappresentano il 15,5% della superficie agricola complessiva del nostro Paese, è al secondo posto dietro alla Spagna per superficie agricola destinata alle produzioni biologiche. La crescita riguarda sia la prima, sia la seconda trasformazione. Da settore di nicchia, il biologico ha conquistato segmenti sempre più ampi di mercato, fino ad affermarsi come uno dei più dinamici del comparto agroalimentare italiano, caratterizzato attualmente da crescite percentuali a due cifre. Rileviamo, tuttavia, che il livello di consumi nazionale risulta inferiore alla capacità produttiva e la fisiologica sovrapproduzione sta riducendo la capacità di reddito del bio rispetto al prodotto tradizionale.
Si pone quindi la necessità di puntare sulla fidelizzazione dei clienti attraverso l’applicazione rigorosa delle regole e la valorizzazione degli accordi di filiera (fra agricoltori, industriali e distributori) per rendere gli alimenti biologici sempre più alla portata di tutti. Un altro aspetto importante è poi quello del ricorso alla materia prima italiana certificata, che offre ampie garanzie di qualità e va promossa riducendo i volumi delle importazioni. È poi necessario intensificare le attività di controllo e certificazione del prodotto biologico in entrata da Paesi terzi, anche con un maggiore coinvolgimento delle dogane e con l’utilizzo di strumenti informatici evoluti per favorire un rapido scambio di informazioni.
Con l’accelerazione dello sviluppo del biologico in Italia nell’ultimo decennio, le nostre aziende hanno sentito la necessità di organizzare un sistema di confronto costante con tutti gli attori istituzionali e imprenditoriali che entrano in campo nella definizione delle regole e delle strategie di produzione del comparto. Da cinque anni è stata perciò costituita, in seno a Italmopa, la Commissione prodotti biologici. Ne fanno parte i rappresentanti di alcune tra le più importanti realtà produttive a livello nazionale che operano nel settore della prima trasformazione del frumento. La Commissione è stata da me presieduta fino allo scorso mese di luglio quando, eletto alla presidenza di Italmopa, ho lasciato il timone a Nicola De Vita.
L’attività fin qui svolta ha riguardato in particolare i rapporti con il Mipaaf, ma stiamo valutando anche una futura collaborazione con Assobio. Nell’ottica della realizzazione di una banca dati transazioni, finalizzata a dare sicurezza alla certificazione per evitare che le aziende vengano coinvolte in frodi e in possibili richiami dei prodotti, abbiamo avuto contatti anche con Federbio (per il sistema Fip) e con Assobiocert (per il sistema Oip). Per quanto riguarda i rapporti con il Ministero delle Politiche agricole, lo scorso anno Italmopa ha partecipato a diversi incontri nel corso dei quali ha avanzato alcune richieste. Nello specifico, ha evidenziato l’urgenza di costituire la banca dati transazioni prevista dal D.Lgs. n. 20/2018 e ha sottolineato la necessità di poter contare sui dati delle semine e delle produzioni prima della raccolta, al fine di programmare, sulla base delle disponibilità di materia prima bio nazionale, eventuali importazioni dall’estero. La mancanza di queste informazioni rende impossibile, tra l’altro, la valorizzazione del Made in Italy. Italmopa ha poi chiesto di essere coinvolta nel tavolo ministeriale sul bio, al quale il nostro settore è stato per il momento solo invitato a partecipare.
In conclusione, a fronte della complessità dei molti aspetti qui considerati, riteniamo che il sistema burocratico costruito per il biologico dovrebbe indubbiamente essere semplificato. Un impianto di norme e disposizioni troppo complicato rischia di allontanare le aziende dal biologico anziché favorirne l’ingresso. E una disciplina farraginosa del sistema dei controlli finirebbe per essere penalizzante, mentre l’attuale sistema di controllo e certificazione nell’Ue appare più che adeguato alle esigenze di garanzia del mercato.
When was organic farming born and how did it develop? These are the issues addressed in the editorial, which focuses on the spread of organic consumption over the years and, above all, on the regulations that have regulated this system. The Green New Deal is encouraging the spread of organic farming, not least because the target to reach is 25% of organically farmed fields by 2030. Therefore, from being a niche sector, organic farming has conquered increasingly large segments of the market and has become one of the most dynamic sectors in the Italian agri-food industry. However, it is necessary to continue to focus on customer loyalty, through the strict application of rules and the enhancement of supply chain agreements (between farmers, industrialists and distributors) to make organic food increasingly affordable for everyone.
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Presidente di Italmopa
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