La scena economica internazionale è stata ossessivamente dominata dalla tematica dei dazi. Dopo la lettera inviata il 12 luglio scorso dall’Amministrazione Trump alla Commissione Ue, recante l’intenzione di stabilire nei confronti della Comunità dal 1° agosto 2025 dazi al 30% universali, il punto di caduta della trattativa è stato raggiunto il 27 luglio con dazi al 15%.
Il cambiamento di scenario è radicale. E ha suggerito di guardare ai precedenti, a quanto avvenne nello specifico per il settore alimentare nel biennio 2019/20.
E cioè nel periodo in cui esso fece in qualche modo da cavia e apripista allorché, a seguito della “querelle” Airbus, furono introdotti per l’Italia dazi pari al 25%, che coinvolsero alcuni prodotti importanti nel segmento dei formaggi duri, dei liquori e marginalmente di alcune lavorazioni del suino cotto.
C’è da aggiungere che il 25% dell’epoca “combina” col dazio “effettivo” attualmente previsto, pari al 28% circa, come sommatoria del 15% ufficiale, sancito dagli accordi Usa-Ue, e del vigente 13% di svalutazione del dollaro sull’euro. Ebbene, prendendo a riferimento le quote corrispondenti esportate negli Usa nel 2018, l’impatto aveva riguardato un valore complessivo del nostro export alimentare, calcolato per comparti di base, pari a circa 422 milioni di euro.
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Responsabile Ufficio Studi, Mercato e Ufficio Stampa di Federalimentare
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