La riduzione dei prezzi del grano duro e le complicazioni burocratiche emerse con la nuova Pac 2023/2027, sono due elementi che rallentano la spinta all’aumento delle superfici coltivate in Italia e quindi al raggiungimento della piena sovranità alimentare. Gli aiuti europei rimangono, comunque, un pilastro fondamentale per la ricerca varietale mentre, in campo, le aziende agricole fanno fatica a stare dietro alle disposizioni della nuova Politica agricola comune per accedere alle sovvenzioni. Le associazioni di categoria che difendono il grano 100% made in Italy, premono per una maggiore regolamentazione del mercato europeo basata su condizioni di reciprocità con i Paesi terzi importatori e su una certificazione ministeriale dei costi per la tutela del reddito agricolo posto che i prezzi precipitino con intensità diversa rispetto all’andamento dei costi. Per Confagricoltura occorre aumentare il budget sul bando nazionale per i contratti di filiera che rappresentano, al momento, uno dei principali strumenti idonei e, soprattutto, condivisi da tutti gli operatori economici per la definizione di prezzi certi e, quindi, per la garanzia del reddito agricolo. Rimane ancora al palo il miglioramento genetico con particolare riferimento alle varietà orientate a un aumento delle rese per ettaro che sono ferme intorno al 30% su quasi tutte le colture. È quanto è emerso nel corso del workshop scientifico dei Durum Days 2023 dal titolo “Mercato, prezzi e previsioni del grano duro”, organizzato dal CREA, in collaborazione con Assosementi, Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri, Alleanza Cooperative Agroalimentari, Compag, Italmopa, Unione Italiana Food, con la partnership tecnica di Areté e la partecipazione di Syngenta-PSB.
L’andamento dei prezzi del duro
La produzione italiana di grano duro stimata per quest’anno è di circa 4 milioni di tonnellate. Un record assoluto, ma – se le condizioni di produzione non cambieranno – si teme che, con le prossime semine, si andranno a ridurre gli areali di produzione. Nell’arco di un inverno, i prezzi del frumento duro sono precipitati di circa 200 euro a tonnellata passando dai circa 500 euro di settembre 2022 ai quasi 300 euro registrati nell’aprile appena trascorso. La corsa al ribasso delle quotazioni di mercato non è stata accompagnata, peraltro, da una riduzione altrettanto intesa dei costi, con la conseguenza che le aziende agricole stanno lavorando sottocosto di circa 600 euro per ettaro. Lo si ricava da un confronto tra i dati Ismea che ha definito il reddito minimo del grano duro a 2mila euro per ettaro, con le quotazioni di mercato che assestano, attualmente, l’incasso dell’agricoltore a 1.400 euro per ettaro.
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