Trittolemo (Alessandro La Motta)
Il vocabolario della lingua greca, il portolano della biologia, riporta il sostantivo carapello dal greco karpos, cioè il frutto al quale spetta il processo riproduttivo. Il lemma e la palea, le due foglioline protettive a forma di barchetta, racchiudono microscopiche scagliette aventi funzioni sessuali. L’ermafroditismo ne è il fenomeno riproduttivo.
SE IL CHICCO DI GRANO,CADUTO IN TERRA, NON MUORE, RIMANE SOLO; SE INVECE MUORE, PRODUCE MOLTO FRUTTO. Giovanni, 12, 24-25
La palea rappresenta la parte ventrale del fiore ed è proprio qui che, dopo la fecondazione, si forma un ovulo che, fecondato, muta in seme, mentre l’intero ovario diventa il frutto, per la botanica cariosside, per tutti noi il chicco. Un solo frutto per ogni fiore, un solo seme completamente immerso nella cariosside. Il chicco ha una forma ovoidale percorsa dall’Ilo, il solco longitudinale, e un ciuffetto di peli alla sommità. Indeiscente, il chicco, è composto da tre parti distinte, ciascuna contenente la successiva: una vera e propria matrioska! L’involucro esterno, il pericarpo si scompone in 3 membrane fibrose ricche di cellulosa, l’epicarpo, il mesocarpo e l’endocarpo, che macinati diverranno crusca. L’endosperma, che con il processo molitorio diverrà farina, risulta avvolto da due membrane, quella interna aleurone, quella esterna strato ialino. Esso è la fonte di nutrimento per lo sviluppo della pianta ed è la parte più consistente del frutto. Si tratta di una riserva di amido da cui l’embrione della pianta attingerà per alimentarsi durante lo sviluppo, fino a che avrà le dimensioni per nutrirsi autonomamente tramite fotosintesi. Ed infine il germe, alla base del chicco, che dà la vita alla pianta attraverso il cotiledone, i 2 meristemi e l’ipocotile: il primo, il cordone ombelicale che convoglia l’amido, i secondi atti allo sviluppo di fusto e radici ed il terzo avente il compito di fornire l’asse di crescita della pianta. Esso contiene grassi per lo più insaturi, proteine, sostanze antiossidanti, ricchi oli profumati e gustosi, nonché vitamine di altissima qualità, in particolare del complesso B. Nelle farine raffinate il germe è totalmente assente per evitare fenomeni di irrancidimento che impedirebbero la conservazione della farina per tempi sufficientemente lunghi. Ricostruita così l’anatomia del chicco di frumento, ci si può addentrare a livello submicroscopico, ed analizzarne la composizione a livello molecolare: Acqua: costituisce dall’8 al 18% del frutto, a seconda dello stadio di maturazione. Zuccheri: sono la frazione dominante, 72% del frutto. Grassi: circa 1,5-2% del chicco. Sali minerali: ammontano all’1,5-2%, in pari percentuale ai lipidi. Proteine: mediamente attorno al 12%. Buona parte è contenuta nell’endosperma; alcune di esse (gliadine e glutanine) a contatto con l’acqua, e grazie ad un’azione meccanica, formano il glutine.
Racchiusi nelle farine derivate dal chicco di frumento, non solo sostanze nutrizionali preziose, ma anche linguaggi archetipali, più propri dell’Anima che non del Corpo. Da un processo riproduttivo primario ermafrodita dunque, la nascita di un frutto (Spiga) e di un seme (molteplici in una spiga) che morirà a se stesso durante l’essiccazione estiva per essere interrato, tumulato nella zolla, per reincarnarsi in nuova vita. Una transustanziazione e successiva resurrezione cristiana o un vero ciclo di reincarnazioni pagane. “Nel momento più critico della vicenda della vegetazione, quando l’arco del tempo sembra chiudersi, il dio creatore della vita e salvatore dalla morte, da Tammuz a Cristo, doveva morire per poi rinascere. La sua morte e resurrezione erano, infatti, la riprova del suo potere di convertire la morte in vita”. (Antonino Buttita) L’archetipo del tempo e del suo scorrere, del suo consumarsi fino alla sua periodica rifondazione, rinnova una concezione ciclica della vita ove “(…) il seme, e in tutte le società arcaiche il grano in semi, era sentito come una metafora visibile e concreta. Da un lato il suo aspetto inerte, la sua morte apparente, erano una denuncia drammatica della vita vegetale; dall’altra la potenza di vegetare racchiusa in esso lo identificava come fonte di vita. Era il territorio di nessuno nella zona di frontiera tra il vivere e il morire (…). Nel processo di riconduzione dall’invisibile al visibile, a un visibile tutto umano, l’identificazione di questo dramma in un dio antropomorficamente rappresentato è conseguenziale.” (Antonino Buttitta)
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