Nato nel 596 a.C., quinto sovrano della dinastia dei Mermnadi, Creso, dopo la morte del padre, re Aliatte II, ebbe una breve lotta con il fratellastro Pantaleone. Mentre Aliatte aveva avuto Creso da una donna Caria, Pantaleone era figlio di una abitante della Ionia. Nella lotta contro il fratello, si schierò a favore di Pantaleone un uomo dal nome non precisato, ma molto ricco, i cui beni vennero portati poi da Creso in vari templi come offerte.
PROMETEO INCATENATO A “DOMINATOR ET POSSESSOR MUNDI”
Il padre della storiografia, Erodoto, racconta l’arrivo di Solone, saggio di rinomata notorietà, alla corte di Creso. “Ospite ateniese, ai nostri orecchi è giunta la tua fama, che è grande sia a causa della tua sapienza sia per i tuoi viaggi, dato che per amore di conoscenza hai visitato molta parte del mondo: perciò ora m’ha preso un grande desiderio di chiederti se tu hai mai conosciuto qualcuno che fosse veramente il più felice di tutti” chiese Creso, aspettandosi di essere citato. Solone, l’ospite ateniese, evitando l’adulazione, ma esprimendosi con verità, diede due risposte che non piacquero al re Creso, sicuro di essere lui l’uomo più felice del mondo. Per questa sua superbia Creso subì la vendetta degli Dei e dopo pochi giorni, ebbe un sogno rivelatore: Atis, il più indomito dei suoi due figli, sarebbe morto colpito da una punta di ferro. Egli primeggiava in ogni attività mentre il fratello era più fragile, affetto da mutismo. Il re Creso, al risveglio, sgomento, decise di evitare al figlio di partecipare ad ogni guerra, confidando attraverso il matrimonio di trattenerlo tra le mura casalinghe al riparo da ogni pericolo. La storia racconta di un grande cinghiale che distruggeva le coltivazioni del regno e che sfuggiva ad ogni attività di caccia. I sudditi esausti esortarono il re Creso ad organizzare una battuta risolutiva con i suoi validi uomini, guidati dal figlio Atis. Creso, memore del sogno, negò inducendo Atis a controbattere: “Padre, una volta per noi l’aspirazione più nobile consisteva nel meritarsi gloria in guerra o nella caccia, ma ora tu mi vieti entrambe le attività; non hai certamente scorto in me qualche segno di vigliaccheria o di paura. Con quale faccia ora devo mostrarmi fra la gente? Che opinione avranno di me i cittadini, e mia moglie, che mi ha appena sposato?”. Il re Creso allora confessa il sogno, e Atis risponde: “Ti capisco, padre, e capisco le precauzioni che hai nei miei riguardi dopo un simile sogno. Ma di questo sogno ti è sfuggito un particolare ed è giusto che io te lo faccia notare. Dal tuo racconto risulta che il sogno ti annunciava la mia morte come causata da una punta di ferro: e quali mani possiede un cinghiale? Quale punta di ferro di cui tu possa avere paura? (…) Lasciami partire”. Creso allora cedette, ma fece chiamare in aiuto Adrasto, figlio di Gordio e nipote di re Mida (re noto per la sua capacità di trasformare in oro ogni oggetto donatogli da Dioniso), occasionalmente ospite del regno, poiché scacciato dalla sua famiglia per l’uccisione accidentale del fratello. Rammentandogli quanto grande benefattore egli fosse stato nei suoi confronti gli ordinò: “Tu sei in debito verso di me di favori uguali; io desidero che tu vegli su mio figlio che sta partendo per una battuta di caccia”. Adrasto accettò a malincuore: “Sovrano, se non me lo chiedessi tu, io non parteciperei a una simile impresa, perché non è decoroso per me, con la disgrazia che ho avuto, accompagnarmi a giovani della mia età dalla vita felice. Ma ora, poiché sei tu a spingermi e verso di te io devo mostrarmi cortese, in debito come sono di enormi favori, ora sono disposto a farlo; tuo figlio, che affidi alla mia sorveglianza, per quanto dipende da me, fai pure conto di vederlo tornare sano e salvo”. La spedizione però ebbe esito infausto: sul monte Olimpo i cacciatori scovarono il cinghiale e dopo averlo circondato cercarono di abbatterlo lanciando i loro giavellotti. Nel tentativo di centrare il cinghiale il giavellotto di Adrasto lo mancò, colpendo invece il figlio di Creso che, trafitto dalla punta, dimostrò l’esattezza profetica del sogno. Prostrato dalla sciagura, il re Creso invocò con rabbia Zeus in veste di Purificatore del proprio focolare domestico per ciò che aveva sofferto per mano del suo ospite, avendolo accolto nella propria casa e avendo dato da mangiare, senza saperlo, all’uccisore del figlio, e in veste di Protettore dell’amicizia, avendo inviato lo stesso quale difensore. Adrasto, in piedi di fronte al cadavere, si consegnò a Creso protendendo le mani, invitandolo a immolarlo sul corpo del figlio. Creso, nonostante il grande dolore per la disgrazia abbattutasi sulla sua famiglia, vedendo ciò ebbe compassione di Adrasto e gli disse: “Ho già da parte tua ogni soddisfazione visto che tu stesso ti assegni la morte come punizione. Tu non hai colpa di questa sciagura se non in quanto ne sei stato strumento involontario: il responsabile forse è un dio, che già da tempo mi aveva preannunciato quanto sarebbe accaduto”.
continua…
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