Ai primi dell’800 Charles Darwin afferma che le piante sono, per il genere umano, il mezzo alimentare più antico e che la carne non è stato mai l’alimento principale. Il frumento è stato da sempre il fondamentale elemento di nutrimento dell’uomo, sia per il suo sostentamento fisico che per l’anima.
ECCO IO VI DO TUTTE LE ERBE CHE PRODUCONO SEME, CHE SONO SOPRA TUTTA LA TERRA E TUTTI GLI ALBERI FRUTTIFERI CHE FANNO SEME. QUESTE COSE VI SARANNO PER CIBO. Genesi 1, 29
I Tessea le spighe dello spigo a spola la cara madre, per i suoi rotelli del banco grande e per le sue lenzuola. Fioria la zucca, arsivano i piselli, nell’orto. Le ciliege erano andate: per San Giovanni avevano i giannelli. C’erano già le mele dell’estate, c’erano le susine di San Pietro. Fatte via via più lunghe le giornate, il sole, stanco, ritornava indietro. II E biondo al vento mormorava il grano. Fiorivano le snelle spadacciole tra i gambi gialli; e non sapean, che in vano. C’era un bisbiglio come di parole. E l’intendea la lodola che in tanto aveva lì la giovinetta prole. Tardi avea fatto il nido, lì da un canto. Oh! ella amava il sole più che il nido! Chissà? voleva far lassù, col canto! Or sui piccini udiva già lo strido della falciola; e li ammonìa di stare accovacciati senza dare un grido. Diceva: Chiotte, contro terra, o care! che non si mova un bruscolo, uno stelo! V’ho fatte color terra: altro non pare, così, che terra, o nate per il cielo! III E il grano al vento strepitava; e disse il padre al figlio: “Mieteremo. Vedi: verdino è, sì, ma non vorrei patisse. Ché il grano dice: – Io sto ritto, e tu siedi. Qui temo l’acqua, e il vento mi dà briga. Altronde, o presto o tardi, o steso o in piedi, se il gambo è secco seccherà la spiga”. (Giovanni Pascoli, Tra le spighe)
I Tessea le spighe dello spigo a spola la cara madre, per i suoi rotelli del banco grande e per le sue lenzuola. Fioria la zucca, arsivano i piselli, nell’orto. Le ciliege erano andate: per San Giovanni avevano i giannelli. C’erano già le mele dell’estate, c’erano le susine di San Pietro. Fatte via via più lunghe le giornate, il sole, stanco, ritornava indietro.
II E biondo al vento mormorava il grano. Fiorivano le snelle spadacciole tra i gambi gialli; e non sapean, che in vano. C’era un bisbiglio come di parole. E l’intendea la lodola che in tanto aveva lì la giovinetta prole. Tardi avea fatto il nido, lì da un canto. Oh! ella amava il sole più che il nido! Chissà? voleva far lassù, col canto! Or sui piccini udiva già lo strido della falciola; e li ammonìa di stare accovacciati senza dare un grido. Diceva: Chiotte, contro terra, o care! che non si mova un bruscolo, uno stelo! V’ho fatte color terra: altro non pare, così, che terra, o nate per il cielo!
III E il grano al vento strepitava; e disse il padre al figlio: “Mieteremo. Vedi: verdino è, sì, ma non vorrei patisse. Ché il grano dice: – Io sto ritto, e tu siedi. Qui temo l’acqua, e il vento mi dà briga. Altronde, o presto o tardi, o steso o in piedi, se il gambo è secco seccherà la spiga”. (Giovanni Pascoli, Tra le spighe)
Così il Poeta romagnolo, mio conterraneo, racconta “il mormorio”, un mormorio come di parole: è il grano che manda un messaggio misterioso al vento. Il grano, i campi bagnati dal sole estivo che li illumina di riflessi color oro e la mietitura, quale finale sodalizio tra l’essere umano e la natura.
Il grano nella sua biondezza antica, ondante e secco, chiede mietitura, ché in cima alla sua gracile statura porge a ogni bimbo una rigonfia spiga. Lo vagheggia la madre contadina ritta nell’ombra corta d’un pagliaio: quanto penare prima che il mugnaio gliela riporti in morbida farina! La cristiana alza gli occhi al sol feroce, poi guarda i figli grondanti, il marito gobbo nel solco e col suo nero dito fa sopra il campo un gran segno di croce. (Giovanni Papini)
Pascoli, come Papini, come Van Gogh: il grano maturo, il risultato di un lungo lavoro durato mesi, l’espressione del trionfo della vitalità e la coincidenza degli elementi della natura. I campi di grano, un paesaggio del Bel Paese, un patrimonio culturale, talvolta (troppo spesso) trascurato, dimenticato, nonostante sia l’espressione delle tradizioni da tutelare, per il loro valore storico e per il potenziale economico, fondanti lo sviluppo locale. Io Lillipuziano, come nel romanzo di Jonathan Swift, scalo e scopro la struttura di sua maestà: radice del tipo fascicolato, il culmo, vuoto nel grano tenero e pieno in quello duro, le foglie ed infine la spiga, a sua volta fatta di fiori, cariosside e spighetta. È una pianta erbacea, appartenente al genere Triticum, frumento o grano, microtermo in agronomia, definito letteralmente cereale. Una cassaforte racchiude, al suo interno, il frutto, che un baccello protegge: indeiscente è l’aggettivo che identifica questa proprietà. Come nel processo alchemico, ove il noto paradosso ermetico mostra “che solo colui che si è fatto ‘ermafrodita’ può cogliere la pietra filosofale”, cosi il chicco di grano giunge per indeiscenza a fecondazione, maturando poi in oro. I processi che governano il lavoro alchemico rimandano per analogia a quelli che governano il lavoro del contadino nei campi: la chiave per entrare in una specifica operazione alchemica va iniziata in un particolare periodo dell’anno, secondo lunazioni precise, scegliendo l’utilizzo di un determinato seme, in una terra preparata con specifiche ritualistiche.
“I contadini affidano il grano alla pingue terra dopo averla sfogliata con i loro rastrelli. I filosofi ci hanno insegnato a spargere l’oro in campi nivei che hanno come dei fogli lievi. Per far ciò guarda bene e al par che in uno specchio vedrai nel grano il modo in cui l’oro germina.” (Michael Maier)
I frutti, disposti su file ordinate, danno forma alla spiga dorata. Il brillante colore dorato a maturazione ricorda inevitabilmente Spica, una stella di prima grandezza, appartenente alla costellazione della Vergine, vista dagli Antichi in prossimità della spiga che la figura sembra portare, la più luminosa della costellazione (magnitudine +1,04) e la quindicesima per brillantezza nel cielo notturno. Dispensatrice di bellezza, fortuna e onori, riversa benedizioni in assonanza a copiosi raccolti. Lo stesso segno zodiacale della Vergine, collocato nel cuore dell’estate e del raccolto, viene raffigurato sovente, infatti, con un fascio di spighe in grembo. Del resto, tra le più ricordate Vergini della storia, le Vestali, figure sacre alla dea Vesta, per secoli utilizzarono cereali durante i sacrifici rituali. Il ventre della dea Madre, archetipo femminile primordiale, divinità strettamente legata al lavoro della terra e alla ciclicità del tempo, come il ventre di Maria del primo Cristianesimo, sono culla di un Sacro Seme, destinato a morire, fecondando con il Corpo morto, la Terra tutta, portando nutrimento fisico e spirituale.
“La terra che da sola partorisce tutti gli esseri, li nutre e ne riceve poi nuovamente il germe fecondo.” (Eschilo, Coefore, 127)
“Che ne sai tu di un campo di grano…” sacro luogo di amori profani, musica il sottofondo dell’inizio di un viaggio alla scoperta dei luoghi d’Italia, dalle Alpi fino alle isole, in un itinerario fantastico che la nave Argo, sempre protetta dalla dea Era/Giunone, si appresta ad intraprendere in questo caso alla ricerca del trofeo d’Oro più prezioso: Sua Maestà il Frumento. Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia e Piemonte coltivano poco più di 200.000 ettari di grano, prevalentemente tenero, concentrati lungo il corso del fiume Po. Le varietà di grano tenero più coltivate sono Aubusson, Bologna, Blasco e Mieti, mentre tra quelle di grano duro Orobel, Neodur e Normanno. L’Emilia-Romagna, il granaio d’Italia, è una delle regioni italiane più importanti per la produzione di grano. La superficie coltivata a grano è di 200.000 ettari circa. La coltivazione è intensiva, con particolare cura per la tecnica di concimazione e difesa. Le varietà più coltivate sono Bologna, Mieti e Serio fra i grani teneri e Orobel, Neodur e San Carlo fra i grani duri. In Lazio, Toscana e Sardegna il territorio dedicato al frumento è di circa 320.000 ettari. Le varietà più coltivate sono Colosseo, Duilio, Iride, Orobel per il grano duro, Bologna e Mieti per il tenero. Generalmente il grano, in questo territorio, viene coltivato in rotazione con altre colture. In Abruzzo, Marche e Umbria, il grano è coltivato su circa 300.000 ettari. Nelle prime due regioni prevale il grano duro, mentre in Umbria si coltiva prevalentemente il grano tenero. Le varietà più diffuse in Abruzzo sono Duilio, Meridiano, Ofanto e Simeto mentre nelle Marche e in Umbria Duilio, Svevo, Orobel, Iride, San Carlo, Rusticano e Claudio. L’area Puglia, Basilicata, Campania e Molise è di circa 700.000 ettari coltivati a grano duro e circa 14.000 ettari a grano tenero nella sola Campania. La varietà più coltivata è Simeto ed a seguire Ciccio, Duilio, Iride e Gargano. Anche in Calabria prevale il grano duro della varietà Simeto, con una produzione che si estende su una superficie complessiva di circa 20.000 ettari. In Sicilia prevale il grano duro rispetto al tenero. La superficie coltivata si estende su circa 320.000 ettari.
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